Lo spettacolo svoltosi nella splendida cornice dell’arena di Pietrarsa, che ha per tetto il cielo e per fondale una Napoli resa insolitamente gentile dalla lontananza notturna, è stato non una semplice performance, peraltro godibile, ma un’occasione per riflettere sul valore dell’arte e della sua funzione nella società e nella storia. A interpretare She-ra-zade erano infatti i componenti del Balletto Nazionale del Kosovo, dodici giovani entusiasti e caparbi che stanno letteralmente rifondando la tradizione della danza nel loro paese.
Un breve video proiettato sul maxischermo all’esterno dell’anfiteatro ha fornito preliminarmente al pubblico gli elementi necessari per comprendere il significato della coraggiosa avventura. Le brevi interviste mettevano bene in evidenza il desiderio di ricominciare, la necessità di creare bellezza, la voglia di confrontarsi con l’esterno che accomunano i membri della compagnia, cittadini di uno Stato impegnato nella laboriosa negoziazione della propria indipendenza e ancora riconosciuto solo da una parte, ancorché maggioritaria, della comunità internazionale. Un tratto, in particolare, emergeva dai racconti intessuti di ricordi dolorosi e di progetti per il futuro, personalissimi e al tempo stesso emblematici: la difficoltà di far accettare la propria scelta e di farne comprendere l’importanza.
In un contesto economicamente difficile e politicamente incerto come quello kosovaro, la danza può apparire ai più come una frivolezza, una stravaganza superflua, un lusso rispetto a problemi più urgenti, ad attività socialmente più utili. Al contrario, Luljeta Ademi, Nora Gashi, Marigone Hoxha, Teute Krasniqi, Behije Murtezi, Leonora Rexhepi, Muhamet Bikliqi, Sinan Kajtazi, Kreshnik Musolli, Fatmir Smani, Fisnik Smani e Sead Vuniqi hanno deciso che la danza era un modo, il loro modo, di contribuire alla riedificazione della nazione alla quale appartengono e hanno intrapreso perciò un percorso di formazione improntato a rigorosa disciplina, nel quale la ricerca del riconoscimento professionale va di pari passo con l’affermazione della dignità personale.
Non è un caso che i dodici artisti si siano riuniti sotto il segno di Sherazade. Come la protagonista delle Mille e una notte sopravvive sera dopo sera grazie alla sua abilità affabulatoria, così le sei ballerine e i sei ballerini, giorno dopo giorno, costruiscono la propria esistenza attraverso la dedizione con la quale coltivano l’arte del gesto e del movimento. In entrambi i casi, l’espressione estetica (il narrare, il danzare) non è una manifestazione astratta e fine a sé stessa, ma la risposta a un bisogno fondamentale e ineludibile e, insieme, lo strumento attraverso il quale modificare la realtà.
La coreografia ideata da Alessandra Panzavolta si adatta perfettamente alla compagnia e ne valorizza le peculiarità accostando il linguaggio internazionale della danza classica alla specifica identità culturale del Kosovo. Il corpo centrale di She-ra-zade è dominato dal segno nitido del balletto accademico e utilizza brani tratti dall’omonima suite sinfonica composta nel 1888 da Nikolaj Rimskij-Korsakov. All’inizio e alla fine dello spettacolo stanno però due pannelli del tutto diversi, marcati dall’impiego di vivaci musiche tradizionali kosovare e da uno stile cinetico che coniuga modernità e folklore senza concessioni all’oleografia; gli interpreti si esibiscono qui anche in veste di strumentisti (uno suona il clarinetto, un altro la darbuka) e di cantanti (tutti insieme intonano un coro) e vestono freschi abiti biancoazzurri checonferiscono alla scena una nuance vagamente marinaresca, accentuata dalle vele triangolari che delimitano lo sfondo.
La speciale atmosfera di She-ra-zade ha conquistato il folto pubblico presente, che ha manifestato il proprio consenso per mezzo di applausi calorosissimi.